Foto Charlie Chaplin donata allo scultore dopo l'acquisto di una sua opera
Giuseppe Gentili, il Charlie Chaplin della scultura
"La bellezza sarà convulsa o non sarà" Francis Bacon
"In un mondo dominato dalla comunicazione e dagli spin doctors, gli artisti non esercitano più alcuna influenza. In una società dove l’otticamente corretto si sovrappone al politicamente corretto non c'è spazio per artisti e pensatori. Non resta allora che l’autoemarginazione. Un artista deve guardarsi dalla celebrità, restare anonimo e solitario. [...] L'arte reale , non quella virtuale dei mercati , ha bisogno di riappropriarsi dell'anonimato e della povertà". Alcuni mesi fa, mentre leggevo e condividevo pienamente queste acutissime riflessioni di Paul Virilio, un'istantanea associazione d’idee mi ha portato a pensare al lavoro drammatico, solitario e per molti aspetti sconvolgenti di Giuseppe Gentili, artista die potrebbe identificarsi perfettamente in quelle parole. Ufficialmente e ingiustamente il nome di Gentili non ha avuto finora piena cittadinanza nell'odierno sistema dell'arte contemporanea, mondano, luccicante, superficiale, tutto business e niente sostanza, esemplarmente rappresentato dal teschio tempestato di diamanti di Damien Hirst o dall'Hanging Heart di Jeff Koons che ha battuto ogni record di aggiudicazione. Del resto, oggi nei giornali, in televisione ma anche tra addetti ai lavori si parla della creatività attuale solo in termini di denaro e di mercato, quasi fosse semplicemente un prodotto come un altro. Le aggressive strategie del marketing pubblicitario hanno avuto la meglio e l'oro ha preso definitivamente il sopravvento sull'aura anche nell'arte. Così, soprattutto in Italia e a Roma in particolare, gran parte degli spazi espositivi pubblici hanno ormai abdicato alla loro funzione di servizio e non scelgono più gli artisti da esporre in base alla qualità e all'intensità della loro ricerca ma esclusivamente in funzione delle potenzialità economiche del loro sponsor, E di conseguenza, com’è evidente proprio nel caso di Giuseppe Gentili, acquista ancora maggior merito l'attenta e anticonformista attività espositiva promossa invece da Antonio Tancredi tramite la sala espositiva della Banca di Teramo e il Museo Crocetti a Roma, sedi che offrono un pregevole palcoscenico ad artisti ben degni di nota ma che altrimenti faticherebbero non poco a presentare i propri lavori.
Gentili, affiancato e rinfrancato solo dalla singolare figura di un mecenate illuminato come Antonio Cargini, ha finora scelto una sorta di ascetica e feconda auto emarginazione da cui è sorprendentemente nata una scultura inquieta, lacerata, ma soprattutto profondamente umana. Una scultura fatta di ferro e di fuoco che esprime crudamente la spietatezza, l'egoismo, l'ipocrisia e la violenza di un mondo costantemente messo per l'appunto a ferro e fuoco da vecchi e nuovi barbari, non solo con guerre ed eccidi ma anche con quell’indifferenza che continuamente annichilisce i deboli, gli indifesi poveri.
È, questa, una ricerca plastica che nasce spontaneamente da una presa di posizione diretta e priva di compromessi, da un forte impegno morale, da un'insopprimibile necessità interiore, volta alla denuncia, all'urlo, alla comunione spirituale con gli emarginati e i meno fortunati. E non a caso finora, con un rigore addirittura eccessivo ma comunque ammirevole, l'artista marchigiano ha realizzato quasi esclusivamente pezzi unici proprio per manifestare chiaramente e polemicamente la sua radicale opposizione al concetto oggi pervasivo dell'arte come business. Così, tenendo conto di tutti questi aspetti, Gentili è oggi il prototipo dello scultore lontano dalle mode, fuori dal sistema dell'arte, indipendente, inattuale in senso positivo proprio perché non conformista e concentrato esclusivamente e ossessivamente sulla propria ricerca invece che sulle pubbliche relazioni. È un artista che ha fecondamente lavorato nell'ombra e che ora può portare tanta autentica luce interiore all'attuale sistema creativo, estroso, inquieto, ribelle - ha scritto Alvaro Valentini geloso delle proprie idee e della propria libertà. Ma, anche tenero, limpido, giocoso come un bimbo che fa volare l'aquilone e affida i suoi sogni al cielo"................continua
Estroso, inquieto, geloso delle proprie idee e della propria libertà. Ma, anche tenero, limpido, giocoso come un bimbo che fa volare l'aquilone e affida i suoi sogni al cielo. Giuseppe Gentili non smentisce la sua personalità d'uomo in rivolta contro ogni potere o atto di violenza, ingiustizia, sopraffazione e il suo essere un formidabile creatore di morfologie plastiche e formali di vivida stupefazione. In questa dicotomia di fondo, pervasa da un sentimento estetico di pura invenzione e sorprendente manualità, egli continua a costruire il suo universo artistico, lontano dalle convenzioni e dai condizionamenti, dando voce a pensieri profondi, immagine alle ansie e alle attese di umanità. Ed anche ai temi favolosi dell'esordio, quando operava in un casolare tra le verdi campagne della natia Pollenza. In quel laboratorio, balenante di fuoco e odoroso di zolfo come l'antro di Vulcano, prendono corpo le prime sculture di ferro, i prototipi di metalli preziosi, le installazioni di materiali duri plasmati dalla fiamma ossidrica con libera misura espressiva e genuina freschezza. Sono figure stilizzate di guerrieri, forme antropomorfiche, personaggi mitici e allegorici avvolti in un'atmosfera surreale e lievemente ironica, sculture piene di movimento e di slancio che colpiscono per l'euritmia dei volumi spaziali e l'ambivalenza dei vuoti e dei pieni. E' il periodo creativo dei fili di rame e di ferro arrotolati e saldati insieme da cui spuntano strutture imprevedibili, esseri organici e animali che si elevano a totem dell'immaginario collettivo dei popoli. Già allora Gentili denotava la propensione a essere un viaggiatore del tempo, un testimone di vicende esistenziali, un interprete della contemporaneità. Sono questa fase anche le prime opere d'arte sacra, come il Cristo, che egli sente nel cuore e nell'anima e che raffigura in infinti modelli ed esemplari, tutti originali e autentici, come può essere lì Volto della Sindone efficacemente reso in un'espressione d'alta tensione umana e divina, o come evidenzia II Crocifisso, scheletrico nel corpo, emaciato nel volto, eppure sereno e consolante nel sacrificio salvifico dell'umanità. L'artista vive con intenso trasporto il tema della Croce, pervenendo ad esiti morfologici originali ed esclusivi, dove il senso dell'intuizione e della sapienza artigianale trovano la congiunzione ideale con il messaggio evangelico.
Per sua natura e formazione Giuseppe Gentili ama il nuovo e l'inedito, il rischio e l'avventura. A spingerlo nei processi dell'immagine e della creatività è la sete di "virtude e conoscenza", la voglia irrefrenabile di affermare la verità e un principio assoluto. La sua aspirazione è "una società libera senza oppressi e oppressori, un mondo senza violenze e guerre". Una speranza che diventa illusione perché debellata dagli egoismi e dagli interessi di parte. Incurante dei giudizi, egli professa il suo credo interiore, rifiutando ogni compromesso che possa ledere la dignità d'uomo e d'artista. Poco gli importa se le sue azioni di ribellione e protesta sono scambiate per imprese estemporanee ("nella vita siamo un po' tutti Don Chisciotte" è solito ripetere), se la battaglia per un principio etico o civile si perde nel nulla, se gli ideali s'infrangono contro il muro dell'omertà e dell'indifferenza. Il suo obiettivo è scuotere le coscienze e finalizzare ogni istante di vita in una dimensione di convivenza pacifica e solidarietà umana. Sono queste motivazioni ad ispirare le sculture di Gentili, che appaiono ora sfrangiate, frementi, direi, nella tensione plastica e nella risonanza delle emozioni, ora leggere a fluide nelle movenze dinamiche e nella fusione degli affetti e dei sentimenti. Tutte le opere (bassorilievi, bronzett1 a tutto tondo, installazioni) vibrano e palpitano di un sotteso respiro cosmico trattenuto quasi per stupore e limpida meraviglia. .............. continua